De Bortoli lascia il Corriere: “Un pessimo giornalista inquina i fatti, ma il nostro è ancora il più bel mestiere”

debortoliQuarantadue anni al Corriere della Sera di cui almeno una decina da direttore. Ieri Ferruccio De Bortoli con un lungo discorso ha salutato la sua redazione rivendicando la libertà del quotidiano e il buon lavoro svolto dai giornalisti. Ha raccontato di quando è entrato in redazione (“Feci di tutto per entrare al Corriere, anche le cartine. Se andate a cercarle in archivio le trovate e sono pessime“) e ha pacatamente, in pieno stile, tracciato quello che dovrebbe essere considerato un manifesto del mestiere giornalistico.

Quello di De Bortoli non è un discorso accomodante, mette subito le cose in chiaro e non risparmia critiche alla categoria: “Quello che siamo diventati tutti noi, anche chi è maledettamente sicuro del valore universale della sua firma, lo dobbiamo al Corriere. Ognuno di noi è in debito verso l’istituzione che ci accoglie e di cui portiamo le insegne, e questo lo dico perché dovreste ricordarvelo quando siete, a volte allegramente, sui social. Abbiamo la prerogativa, che spesso colpevolmente sottovalutiamo, di raccontare la società lungo il solco degli avvenimenti e sul ciglio dell’attualità. In prima fila“.

Poi affronta la questione innovazione, ma lo fa tenendo al centro del discorso il ruolo di mediatore del giornalista: “Le tecnologie dell’informazione sono cambiate profondamente in questi anni, un’autentica rivoluzione. Il lettore crea l’informazione e spesso la vive in diretta, ma il ruolo di comprendere e contestualizza un fatto, di scoprirne le cause, intuirne gli effetti, svelare legami e particolari nascosti, fare emergere le linee in profondità non è assolutamente cambiato, anzi è ancora più indispensabile, insostituibile. Grazie a un buon giornalista il lettore o il navigatore è un cittadino libero e dotato di senso critico; in caso contrario si trasforma in un suddito plasmabile da ogni potere“.

Un giornalista che mette davanti a tutto se stesso e le proprie idee non è un buon giornalista: “Il buon giornalista offre onestamente il senso dei fatti, li racconta e li commenta se necessario; il pessimo giornalista confonde il quadro e lo inquina con le proprie approssimazioni e la propria sciatteria, magari polemizzando con i fatti se contrastano con le sue idee e spesse volte vomitando il proprio io. È inutile, dannoso; è un presuntuoso detentore di una verità che non è mai completa; è soprattutto privo di umiltà e dunque antipatico e detestato, e purtroppo non raro“.

Libertà e indipendenza prima di tutto; editori e inserzionisti devono rimanere fuori dalle redazioni: “A nessuno dei giornalisti del Corriere in questi anni è stato chiesto di fare qualcosa di contrario all’etica professionale, di servire un padrone o un investitore pubblicitario. Il branded content è rimasto fuori dalla redazione, guardatevene perché è una delle morti possibili del nostro mestiere ed è soltanto un modesto palliativo all’agonia degli editori“.

Un giornalista è un giornalista: “Quante altre professioni, pur apprezzabili e ambite, hanno potuto godere o possono avvalersi di una simile condizione privilegiata. Pochissime, forse nessuna offre la possibilità preziosa di vivere l’attualità con questo straordinario coinvolgimento. Io non rinuncerei per nulla al mondo al mio titolo di giornalista e non ci tengo ad aggiungerne altri. Montanelli volle che nel suo necrologio fosse scritto solo giornalista, perché basta quello. Vi è tutto e, se volete, persino troppo. Vi è la bellezza impagabile di essere protagonisti di un’avventura giornaliera per la quale spesso è imprevedibile prevederne l’agenda, essere testimoni della storia e interpreti del proprio tempo“.

Quello del gironalista è ancora oggi il mestiere più bello al mondo, per chi lo fa e lo interpreta in modo esclusivo: “Un lavoro bellissimo, una missione da svolgere con passione e la testa, il cuore e l’intensità dei nostri sentimenti, persino con il conotrcimento delle nostre viscere. Una libertà che si accompagna alla responsabilità, al rispetto delle persone, dell’esercizio costante di un dubbio laico e liberale, e l’intelligenza di saper guardare i fatti da più punti di vista. Nella consapevolezza che quando il giornalista veste altri panni, gioca una parte, o ambisce a giocarla, non è più tale e forse non è neppure utile alla costruzione di una pubblica opinione composta da cittadini informati, avvertiti, responsabili e non da curve urlanti di tifoserie avverse“.

Twitter: @gioeleurso1

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