Andare a Barcellona per vedere una partita di calcio (Barca-Milan) e portarsi via qualcosa che le altre volte che eri stato in quella stessa città non eri riuscito a vedere. Barcellona-Milan per me è stato soprattutto altro: il mercato coperto vicino La Rambla, la serenità del mare a novembre, l’orrore dei piccioni appesi al banco del macellaio, il colore e la multietnicità della società. Partiamo dalle origini e facciamolo senza fretta. Decidere di andare a Barcellona per vedere giocare il Milan è stata comunque una saggia idea, non tanto per il gioco dei rossoneri, piuttosto per poter dire almeno una volta nella vita di aver ascoltato al Camp Nou l’inno della Champions League:
Di Barcellona mi ha colpito soprattutto la mescolanza di colori, quelli della gente differente nella mente e dalla provenienza e quelli degli sfondi. Se capitate nell’immensa città spagnola fate come ho fatto io, fidatevi del consiglio di un amico e andate a mangiare in uno dei ristoranti che trovate vicino La Rambla, si chiama Pollo Rico ed è in calle San Pablo 31: visto da fuori non vi entrereste nemmeno sotto compenso, ma una volta dentro mangerete e berrete benissimo a prezzo stracciati.
Rosso, giallo, verde, arancione. Frutta, pesce e Verdura. Il mercato coperto, La Boqueria, è un tripudio di colori, odori, voci, dialetti, flash e sapori. Di questi due giorni a Barcellona mi posso lamentare di una sola cosa: non aver portato, dopo una lunga meditazione, la mia macchina fotografica. Credo che mi sarei perso in mezzo a quella città ricca di visi, spunti e situazioni da fotografare e ricordare.
Del mercato coperto non ricorderò con piacere solo una cosa: i piccioni appesi a testa in giù al banco del macellaio. A parte il fatto che non riesco a reputare plausibile il fatto che qualcuno possa mangiarsi un piccione, ma credo che sia anche piuttosto barbaro appendere animali appena uccisi a modo mostra in giro per un mercato. Mangiarli è normale (non i piccioni), ostentare la sofferenza di una bestia no. Insieme ai piccioni vi erano anche conigli e galli.
A Barcellona ho trovato anche il termometro più grosso che abbia mai potuto vedere prima. Si tratta di uno di quegli inserti urbani di pacchianeria geniale di cui gli spagnoli ogni tanto sono in grado di stupirci. Fateci caso, è sulla Rambla e per l’esattezza quando l’ho visto io segnava ben 22 gradi, mica male come temperatura per essere stata registrata mercoledì di questa settimana (6 novembre 2013). Non a caso in spiaggia, a Barceloneta, le persone si stavano ancora facendo il bagno e giocavano a palla in pantaloncini tra un mojito e un pezzo di “cocco.. cocco bello.. cocco..“.
La palla, il denominatore comune di qualsiasi cosa avvenga a Barcellona. I bambini giocano con la palla. I genitori guardano il Barca che fa girare la palla. I tifosi indossano la maglia dei giocatori che spingono la palla in rete. E a Barcellona la palla può finire anche dietro le sbarre (potrebbe nascere un ottimo racconto da uno spunto del genere).
Però a Barcellona la cosa che mi ha colpito di più è stata la vista fuori dalla finestra. Una tempesta di luce dentro una cornice scura. Palazzi alti e bianchi, palme sui balconi, l’aria di mare a staccare il calcestruzzo, le bandiere indipendentiste sulle ringhiere. Il senso di libertà che solo il mare e la sua aria ti può regalare; quello di ribellione che ti può donare solo la stravaganza.
Barca è un binocolo, una stella di mare, una conchiglia, una barca, degli occhiali, delle cuffie e una cassetta sulla facciata di un palazzo sul lungo mare, mentre la gente gioca, beve un aperitivo e compra un pezzo di pizza da un ristoratore napoletano che ha un’idea un troppo creativa della fiscalità iberica.
Questa è una faccia della medaglia di Barcellona, l’altra ve la racconterò un altro giorno.
PS: tornato a Torino ho di nuovo la cervicale che fa le storie…