Raramente sul blog o sui social network inserisco pensieri fin troppo personali, ho la convinzione che la vita privata debba rimanere tale e di essa si possano concedere spicchi di verità solamente alle persone più vicine: per gli utenti ci sono i miei pensieri, i miei spunti, le immagini che mi colpiscno, gli eventi che mi indignano e cose del genere. Così facendo sovente racconto di fatti che accadono accanto a me e che credo possano fungere da cartina tornasole utile a decodificare la società che ci vive intorno. In fondo anche questa è comunicazione.
Troppo spesso ultimamente stiamo sentendo a sproposito riferimenti al periodo fascista e a tutto quello che in quegli anni avvolse il nostro continente. Sarà per questo motivo, ma ho tirato fuori dalla libreria Se questo è un uomo di Primo Levi è ho cominciato a rileggerlo (la fotografia del post è una citazione tratta da questo testo). Quella fu un’altra storia, il male che oggi ci ha colpito ha tre volti: quello dell’ignoranza, quello della maleducazione e quello del tifo a prescindere.
L’analfabestismo è un germe che anno dopo anno si è insinuato dentro le case degli italiani fino a giungere nelle aule parlamentari. Io, da piccino piccino, ho imparato a coniugare i verbi a suon di umiliazioni: ogni volta che sbagliavo un congiuntivo i ragazzini che mi stavano attorno mi prendevano in giro fino a farmi vergognare. Sarò stato fortunato, ma vi assicuro che non sono cresciuto in mezzo alla borghesia torinese, ma in un piccolo paesino di provincia con amici educati da famiglie che avevano ancora a cuore l’importanza della correttezza del linguaggio. Si intenda, non che non sbagli mai un verbo, capita, ma è l’eccezione. Il fatto che ieri, la polemica tra Grillo e la Boldrini sia stata accesa ancor di più da un post di un comunicatore pentastellato che in 140 caratteri ha commesso ben due errori gravi (ha scritto tranquillizarti invece di tranquillizzarti e ha completamente sbagliato la coniugazione del verbo) conferma solamente il fatto che diamo sempre meno importanza alla correttezza del linguaggio.
Da piccino piccino non mi sarei mai sognato di pronunciare anche solo una piccola parolaccia a tavola durante la cena, ma non l’avrei detta neppure in altri contesti perché sarei stato conscio della punizione che mi sarebbe stata inflitta. Sarò un demagogo, ma io oggi sento troppa maleducazione intorno a me. Ieri mentre stavo tornando a casa un ragazzo che avrà avuto non più di vent’anni ha aggredito verbalmente e minacciato un uomo di colore dicendogli: “scendi.. Io ti picchio.. Sei un negro di merda.. Questa è casa nostra..“. Il ragazzo non era in stazione per prendere il treno, l’uomo di colore sì. Da quel che ho compreso ascoltando la conversazione tra il capotreno e l’uomo dopo che siamo partiti non si è trattato di un caso isolato, ma di un fatto che si ripete nel tempo. Domande: i genitori di quel ragazzo dove sono? Un comportamento del genere è generato dall’educazione che gli hanno impartito o da altri fattori? Per quale motivo il suo modo di agire è tollerato da chi assiste a quelle scene?
In seguito a questo fatto sorge la terza considerazione: ormai siamo abituati a schierarci a prescindere anche quando non lo facciamo in modo palese. Io ieri ho voluto raccontare sui social network questa vicenda, ho fatto semplicemente quello che è il mio lavoro: ho riportato un fatto che credevo fosse importante, l’ho condito con un un po’ di colore (tutto rigorosamente vero) e ho aggiunto un giudizio personale. E’ nato un dibattito e una storia, a mio avviso significativa, ha avuto un piccolo risalto. Ammetto, molti non saranno d’accordo, che sono convinto che questo lavoro di comunicazione abbia un valore maggiore rispetto ad un insulto rivolto al ragazzino di cui sopra. Vi spiego perché: ho raggiunto un numero di gente maggiore; ho testimoniato l’esistenza di un problema; ho cercato di sensibilizzare; ho portato avanti un piccolo processo culturale; non posso avere la presunzione di raddrizzare quel ragazzino fino a quando ci sarà attorno a lui gente che prima di indignarsi deve esaurire le giustificazioni che potrebbe dargli.
@gioeleurso1 – redazione@tempestadicervelli.com
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E’ vero, non reagiamo più alle barbarie, queste scorrono lentamente a fianco a noi, una minima reazione diciamo 50 anni fa sarebbe stata la normalità, ora ce ne stiamo accoccolati su noi stessi. Prima o poi dobbiamo raccogliere le forze onde evitare la resa alla barbarie. Il primo passo è prendere atto del problema e ogni piccolo sforzo (come il tuo) è nella direzione giusta.