Ho taciuto per dieci giorni e ora vi parlo di quella (BUONA) INTERVISTA. E’ questo il titolo che Daria Bignardi ha voluto dare al post che ha pubblicato oggi sul sito di Vanity Fair e con il quale ha voluto spiegare il suo punto di vista dopo l’intervista all’onorevole Alessandro Di Battista del M5S.
Io sto dalla parte della Bignardi perché in un Paese nel quale tutti sanno fare tutto tranne il proprio mestiere, lei ha fatto la cosa giusta. In molti l’hanno attaccata sostenendo che non avrebbe dovuto domandare al deputato pentastellato dei trascorsi del padre fascista, ma la tendenza che sta prendendo piede a suggerire ai giornalisti quello che devono fare e quello che non devono fare non può essere assecondata.
Non era politicamente corretto? Pazienza! Era giornalisticamente corretto? Sì. La giornalista tv, oggi sul suo blog scrive: “Subito prima dell’inizio del programma mi avevano portato un’agenzia che riferiva di una vecchia intervista, appena rimandata in onda alla trasmissione di Giuseppe Cruciani su Radio 24, nella quale il padre di Di Battista diceva di essere orgoglioso di essere fascista, di sentirsi un camerata e di sfilare in camicia nera. Subito mi sono chiesta: «Chissà che cosa pensa l’onorevole Di Battista delle idee di suo padre, chissà come le vive». Ho deciso quindi che verso la fine del nostro incontro gli avrei chiesto se quell’intervista radiofonica lo avesse messo in imbarazzo”.
Alzi la mano il giornalista che in una situazione del genere non avrebbe fatto quella domanda, magari in apertura di intervista. Quella era una domanda corretta perché, come dimostrano le reazioni dei giorni successivi, risponde al concetto di notiziabilità.
@gioeleurso1 – redazione@tempestadicervelli.com
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