Sportitalia chiude, anzi no, ma forse sì: quando il giornalismo è inzerbinito

sportitaliaSportitalia chiude, anzi no, ma forse sì. Solitamente non commento volentieri quelle che sono crisi aziendali che riguardano il settore dell’editoria perché facendone parte si insinua in me la paura di dire qualcosa di sbagliato o di non opportuno. Anche in questo caso avevo deciso di fare allo stesso modo, fino a quando non sono inciampato sull’annuncio in diretta televisiva di Michele Criscitiello.

Voglio spendere poche parole e spero che siano chiare. La crisi dell’editoria nasce anche per colpa di quei giornalisti che hanno fatto carriera alle spalle di colleghi che hanno speso tempo prezioso della propria vita per inseguire un sogno, spesso giovani ragazzi che si sono affidati a testate che li hanno sottopagati e sfruttati.

Criscitiello dice che non cambia nulla: alcuni giorni di stop, un nome più corto e forse un trasloco da Milano a Roma. Sarà vero? Probabilmente sì se si considera solo la sua posizione professionale e si escludono quelle di tutti gli altri lavoratori: a rischiare il posto sarebbero in 80 di cui 30 redattori. La crisi dell’editoria passa anche dalle mani di chi vuole ignorare il futuro di chi lavora dietro le quinte di una televisione o di un giornale: montatori, registi, operatori, impaginatori, ecc..

L’editoria di qualità è quella prodotta da chi sa stare al proprio posto: il giornalista fa il giornalista; l’operatore fa l’operatore; il montatore fa il montatore.

Il mondo dell’editoria è diventato un grosso campionato amatoriale di calcio. Viva il giornalismo a basso costo. Viva il giornalismo approssimato. Viva il giornalismo inzerbinito. No. Io non la penso così.

Sia chiaro, io capisco la posizione di Criscitiello, non la condivido, credo che lui stesso se ne farà una ragione.

Il problema dunque esiste e non credo che si possa ridurre ad alcuni giorni di stop, un nome più corto e forse un trasloco da Milano a Roma. Anche solo per rispetto di chi rischia il posto di lavoro.

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