Ho dovuto aspettare sei mesi, leggere altri quindici libri e vedere il film per riuscire a tracciare un giudizio di Educazione Siberiana, il romanzo di Nicolai Lilin edito da Einaudi. Nel frattempo lui ha avuto il tempo di diventare un conduttore televisivo e di sgonfiarsi, almeno per il momento, come un palloncino che rimbalza su una pala di fico d’India.
L’idea che sta alla base del testo del 33enne autore siberiano non è assolutamente di semplice realizzazione. Nel suo romanzo Lilin non racconta una storia punto e basta, lui cerca di trasmettere al lettore un concetto e, a prescindere dal fatto che questo concetto possa interessare oppure no, cerca di farlo utilizzando un intreccio narrativo spezzettato ed esasperato. Lui cerca di raccontare la tradizione criminale di una certa popolazione russa confinata dal regime.
Alla fine della lettura di Educazione Siberiana ci si sente spaesati, vuoti, confusi e a tratti offesi. Io ho un vizio del tutto personale, alla fine della lettura di un libro appunto su una delle prime pagine bianche un mio parere, una sensazione, e su questo romanzo ho scritto: “La scrittura è elementare, a volte fin troppo. Nonostante ciò si tratta di un libro piacevole, lo definirei estivo: da spiaggia o da piscina“.
Venerdì ho visto il film. E’ un’altra cosa rispetto al libro, nel senso che la sceneggiatura non combacia con la trama del romanzo e il finale è completamente differente, questo a riprova del fatto che anche chi ha lavorato al testo si è reso conto delle lacune dell’intreccio narrativo originale. Guardare il film però mi ha fatto rivalutare il romanzo perché mi sono reso conto dello sforzo che ha fatto l’autore per scriverlo e per cercare una chiave di lettura adeguata. Senza contare la regia di Gabriele Salvatore e la spettacolare fotografia, due elementi che riescono a sopperire alle carenze che sono presenti nella storia.
Rimane un libro da 6 in pagella, ma almeno apprezziamo l’impegno..
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