Come un alieno a Genova

etVi propongo un racconto che ho scritto per partecipare al Concorso Letterario “Onda d’arte 2013”. Ogni partecipante ha dovuto presentare un testo narrativo partendo dal seguente incipit:

“Genova, esterno giorno. Quella che, a tutti gli effetti, possiamo definire un’astronave aliena, è appena atterrata in piazza De Ferrari; è lì da ore, ed è circondata da forze dell’ordine, istituzioni, sindaco in testa e, ovviamente, curiosi. In un silenzio irreale si apre il portello e…”

Mi sono divertito molto a scriverlo e il vincolo iniziale ha reso il processo creativo una vera e propria Tempesta di Cervelli. Vi auguro una buona lettura..

Come un alieno a Genova

Genova, esterno giorno. Quella che, a tutti gli effetti, possiamo definire un’astronave aliena, è appena atterrata in piazza De Ferrari; è lì da ore, ed è circondata da forze dell’ordine, istituzioni, sindaco in testa e, ovviamente, curiosi. In un silenzio irreale si apre il portello e…” – in una mansarda affacciata su Piazza Vittorio a Torino, Gianni sta leggendo la sceneggiatura del suo ultimo cortometraggio, la più importante opera di tutta la sua vita. Lo stato maggiore della Gianduia’s Film è schierato davanti a lui!

Erano passati undici mesi e ventisei giorni dal momento in cui il più promettente giovane sceneggiatore torinese aveva firmato il suo primo contratto di un certo peso con la più importante casa di produzione della città: “Patti chiari amicizia lunga” – aveva detto il Supermegaboss dei cioccolatini cinefili – “le do massimo dodici mesi di tempo per portarmi una sceneggiatura da tutto esaurito ai botteghini. Scaduti i trecentosessantacinque giorni il contratto può considerarsi nullo”. Testa china e tazzina a destra Gianni si era messo subito al lavoro, ma, chiamatela pure ansia da prestazione, da quel giorno non riuscì più a scrivere qualcosa che lo soddisfacesse veramente.

Doveva trovare una storia geniale e originale. “Devi puntare sul sociale” – gli disse un giorno un amico portoricano con i denti da criceto che con la cinepresa si muoveva come se fosse un braccio naturale.
Cercò spunti in ogni luogo. Lesse tutti i libri che riuscì prima di addormentarsi. Vagò ore ed ore per la città. Prese autobus. Frequentò le mense dei poveri. Andò al mercato, alla posta, in banca e persino dal medico. Ma nulla. Niente. Per undici mesi e passa non riuscì a scovare alcuna storia, alcun personaggio, nessuna ambientazione. Nulla di nulla.

Adesso però aveva per le mani un soggetto da tutto esaurito e l’aveva scritto tutta in una notte dopo essere tornato da un breve viaggio. La settimana prima, colto dallo sconforto di non riuscire a tessere una trama decente, aveva deciso di raggiungere per qualche giorno un suo vecchio amico che da qualche anno si era trasferito in Spagna. “Non mi vieni mai a trovare. Se non venissi ogni tanto io da te, non ci si vedrebbe mai” – gli ripeteva spesso il compagno dell’adolescenza durante le loro conversazioni via Skype e così aveva deciso senza pensarci troppo di partire.

Preso lo zaino dal ripostiglio lo aveva riempito con calze, mutande, magliette, un paio di pantaloni di ricambio, una camicia, lo spazzolino, il dopo barba ed era montato sulla sua vecchia utilitaria blu “puffo” diretto verso la penisola iberica. Anche se i giorni che lo separavano dalla consegna della sua sceneggiatura alla Gianduia’s Film si potevano contare sulla punta delle dita di una mano, aveva tutte le intenzioni di godersi quei pochi attimi di evasione.

Si vedeva già impegnato in estenuanti giornate di relax meritato e sacrosanto. Prima di partire aveva preso dalla libreria il manoscritto che gli aveva inviato Francesca qualche settimana prima: “Per cortesia leggilo e se riesci prova a fare qualche correzione al testo, ma in tempi brevi” – gli aveva scritto la giovane donna nella mail al quale aveva allegato il pdf. “Lo leggerò a bordo piscina” – aveva pensato mentre stava chiudendo con un nodo lo zaino.

Quelli spagnoli furono giorni di paella e sangria, ma anche di cucaracha. “No te gusta la cucaracha?” – gli aveva chiesto una graziosa cameriera di una gelateria mentre uno scarafaggio grosso come un tacchino stava cercando di attentare alla sua serata sul lungo mare di Marbella. Odiava gli scarafaggi sin da quando era bambino, dalla notte in cui suo padre, alzandosi dal letto per andare a bere un sorso di acqua, se ne ritrovò uno dentro la ciabatta e lo schiacciò con la pianta del piede nudo. “Guarda quanti Gregor” – diceva ogni volta che ne vedeva uno per strada e quella citazione del grande Kafka fu l’unica gentilezza che nella sua vita concesse a quelle immonde bestiacce.

Il viaggio di ritorno da Marbella a Torino per Gianni fu interminabile, durò quasi il doppio rispetto a quello di andata: percorse la costa spagnola, entrò in territorio francese e puntò le Alpi italiane. Le montagne erano state una costante delle sue vacanze all’estero, rappresentavano l’inizio e la fine del viaggio, ma questa volta nascondevano un’insidia che si rivelò provvidenziale per il giovane sceneggiatore.

Tutto accadde di notte, pochi chilometri dopo Grenoble: “Ti giuro che è stata una situazione allucinante, al limite del paradosso” – una volta arrivato a casa, tra le mura amiche, Gianni telefonò subito a Francesca. Durante la notte si era concesso solo una piccola sosta di un’ora nel parcheggio di un distributore di benzina di un piccolo paesino, poi si era subito rimesso in viaggio, ma prima di riposare aveva bisogno di sfogarsi.

Ho capito.. però anche tu.. diciamo che in qualche modo te la sei cercata” – rispose Francesca più divertita che preoccupata.
No, ma allora tu non hai capito.. quell’idiota mi ha fatto aspettare un’ora a vuoto. Ma dico io, gli sarebbe costato tanto uscire un attimo e farmi il pieno?” – Gianni era fuori di sé. Non riusciva a concepire il comportamento del benzinaio francese che si era rifiutato di fargli rifornimento prima dell’orario di apertura.
Sì, va bene.. ma a te costava tanto fare il pieno prima di metterti a dormire? Ti sei fermato anche nel parcheggio di un distributore..” – Francesca ribatteva colpo su colpo.
Ti ho detto che avevo ancora una tacca.. non insistere! E poi cosa ne sapevo io che in Francia è praticamente impossibile fare rifornimento di notte! Comunque mi sono ritrovato praticamente a secco. Fai conto che in discesa andavo in folle e quando potevo spegnevo proprio il motore”.
Ma alla fine? Come l’hai risolta?”.
E come l’ho risolta..?? Ho preso un cappuccino, una brioches e quando l’idiota ha aperto il distributore sono andato a fare il pieno. Sto tirchio maledetto.. Sì, però gliene ho dette quattro a quello. Dovevi vederlo, mi guardava come se fossi stato un alieno”.
Sì, come un alieno che ha finito la benzina della navicella spaziale in piazza De Ferrari a Genova.. minimo minimo si ritrova a dover pagare una multa perché ha parcheggiato in sosta vietata la navicella..” – disse Francesca e poi scoppiò in una fragorosa risata.

Genova, esterno giorno. Quella che, a tutti gli effetti, possiamo definire un’astronave aliena, è appena atterrata in piazza De Ferrari; è lì da ore, ed è circondata da forze dell’ordine, istituzioni, sindaco in testa e, ovviamente, curiosi. In un silenzio irreale si apre il portello e…” – in una mansarda affacciata su Piazza Vittorio a Torino, Gianni sta leggendo la sceneggiatura del suo ultimo cortometraggio, la più importante opera di tutta la sua vita.

Gioele Urso

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