Confidenze di un Taxi Driver torinese

taxidriverFai conto di trovarti dall’altra parte della città, quella che per te non è proprio la più comoda. Fai conto di trovarti nell’impellente esigenza di doverti catapultare fino alla principale stazione della città per prendere il primo treno disponibile. Fai conto che prendere un bus non è possibile perché proprio quella parte di città non è ben collegata con il centro. Fai conto dunque di essere nella condizione di dover chiamare un taxi.

Il taxista arriva con qualche minuto di ritardo rispetto ai quattro di cui ti aveva parlato la signorina al telefono, si scusa, ma tu gli fai notare che non è un problema. Dallo specchietto centrale ti lancia un’occhiata perché vuole comprendere chi sei, ma un’idea ben precisa se la fa nel momento in cui gli chiedi se ti può accompagnare in stazione. Lui è uno che la gente la conosce ed è consapevole di come funzionino certe dinamiche: se uno ti chiede di essere portato a Porta Susa vorrà dire che non è proprio di Torino.

Il taxista allora, che nel mio immaginario è il chiacchierone per eccellenza, si sente in dovere di parlarti di Torino ed è in quel momento che tu devi decidere cosa vuoi fare: dirgli che ha preso una cantonata oppure stare al gioco e fingerti milanese? Io mi sono finto milanese.

Guardare Torino con gli occhi di chi la vive sulla strada tutti i giorni è particolare, ma lo è ancora di più se ti metti nella condizione di essere ospite a casa tua. Il taxista mi racconta che Torino ha delle enormi potenzialità, ma che non vengono sfruttate nel miglior modo possibile; che per una coppia che vuole progettare un futuro e magari fare un figlio è cara perché gli affitti in relazione allo stipendio che si percepisce sono troppo alti; che purtroppo siamo Milano-dipendenti perché quando gli altri fanno qualcosa riusciamo a trarre giovamento pure noi e che allo stesso tempo pur avendo alte potenzialità non riusciamo ad andare oltre la cultura; che per fortuna la FIAT guarda all’America perché altrimenti qui sarebbe ancora peggio.

Poi il taxista mi racconta del suo mestiere: dei turni di dodici ore; degli appelli che vengono chiamati al di fuori delle dodici ore; del fatto che anche se il suo turno inizia alle 6.30 del mattino, lui esce lo stesso alle 4.00 perché così riesce a prendere le chiamate per gli aeroporti; che prima faceva l’autotrasportatore e guadagnava solo 800 euro al mese; che è contento della scelta di cambiare che ha fatto solo sei mesi prima; che spera che nevichi perché con la neve molti suoi colleghi preferiscono non uscire e lui guadagna di più; che a Torino ci sono troppi taxi, circa 500 in più.

Arrivato in stazione avrei altre mille domande da fargli perché a quel punto sono curioso, ma devo scendere. A volte essere ospite a casa propria è anche bello.

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