Fusione Stampa-Repubblica: livelli occupazionali e pluralismo i punti deboli

Tendenzialmente mi sono preso alcuni giorni di tempo per riflettere, fare sgonfiare l’entusiasmo iniziale e infine fornire un’opinione non richiesta sulla fusione Stampa-Repubblica. Lo dico subito: io non credo sia una buona notizia! Cercherò di spiegarvi i motivi in modo abbastanza schematico.

Condivido le preoccupazioni del Comitato di redazione de La Stampa che in un comunicato ha posto l’attenzione sulla salvaguardia dei livelli occupazionali: «I valori e le persone che costruiscono quotidianamente il nostro giornale non possono passare in secondo piano». È evidente.

Condivido anche le preoccupazioni della Commissione Freelance dell’associazione Stampa Subalpino (il sindacato piemontese) che in una nota ha posto l’attenzione sui collaboratori dei quotidiani: «A fare le spese di questa unione non siano loro: come si sa freelance e precari sono ormai fondamentali per la produzione di entrambi i quotidiani, in particolare per quanto riguarda le pagine di cronaca locale. E non solo: i loro compensi sono inaccettabilmente bassi. Soprattutto non vorremmo che, non essendo protetti da un contratto, venissero lasciati a casa da un giorno all’altro, senza sussidi, senza welfare e senza stipendio». È evidente anche questo.

Allargando lo sguardo non si possono sottovalutare gli effetti che questa fusione avrà su RCS. A occhio e croce leggendo i comunicati dei CdR di Gazzetta e Corriere della Sera le redazioni non si stanno stracciando le vesti per l’addio della famiglia Agnelli. Leggete qua e qua. Però è pur sempre vero che, se le voci che vorrebbero Repubblica unico quotidiano nazionale del nuovo gruppo e Stampa e Secolo XIX come inserti locali, delle ripercussioni sull’informazione italiana ci saranno. Perché? Perché ci sarà una voce in meno! I lettori avranno una possibilità di scelta in meno. E il pluralismo?

Infine una parentesi sul mondo del giornalismo digitale, quello che non ha alle spalle grossi gruppi editoriali e redazioni corpose. Progetti che magari sono immaginati e sviluppati da pochi (magari due o tre giornalisti) e che vivono sul web e si creano un proprio mercato. Io credo che questa fusione contribuirà a sviluppare obbligatoriamente questo modello di giornalismo. Meno giornali, vuol dire meno occupazione e i giornalisti che rimarranno a piedi in qualche modo dovranno arrivare a fine mese investendo sulle proprie competenze con coraggio e visione.

È importante che tu condivida questo articolo e qui ti spiego il motivo!

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