Ecco perché L’Unità non piace neppure ai militanti di partito

L’Unità è di nuovo in crisi! Il giornale fondato da Antonio Gramsci nel 1924 e tornato in edicola lo scorso giugno avrebbe, secondo quanto riporta il quotidiano La Repubblica del 29 febbraio, un buco di 200.000 euro al mese che su base annua ammonterebbe a ben 2.400.000 euro. Non era questo il futuro che Matteo Renzi aveva immaginato per il quotidiano di partito che avrebbe dovuto fare da megafono all’azione del suo Governo. Ma perché L’Unità non piace ai lettori? Proviamo a capirlo.

Ogni giorno vengono stampate e distribuite circa 60.000 copie in tutta Italia. Ovviamente lo sappiamo, la distribuzione è un tassello fondamentale per il successo di un progetto editoriale, ma non si può individuare il motivo del flop del giornale solamente in questo aspetto.

L’Unità è un giornale di partito e come tale non rispetta le normali regole di mercato. Si tratta di un quotidiano che dovrebbe nascere già con un proprio bacino di lettori: sezioni di partito, eletti e tesserati. Soggetti che, anche in assenza di una distribuzione capillare, trovano il modo di ricevere quotidianamente la propria copia da leggere. Quindi Renzi stia tranquillo non è necessario che rispolveri la sua esperienza da coordinatore degli strilloni fiorentini per studiare una strategia di distribuzione adeguata.

Il vero problema è nel taglio del giornale: L’Unità a oggi non è più un giornale di partito, ma un giornale di Governo. E la differenza dove sta? Te lo dico: il giornale di partito si sforza di dare voce a tutte le sensibilità interne al movimento politico in modo equilibrato; quello di Governo è un copia incolla di tweet, post e comunicati stampa che fanno da cornice a fondi utili a fare da cuscinetto alle polemiche lanciate dalle opposizioni.

Ieri Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana e candidato segretario del PD in opposizione a Renzi, in un post su Facebook ha scritto: «L’unità è in crisi finanziaria. Oggi farò il mio abbonamento al quotidiano, perché non voglio che chiuda il giornale fondato da Antonio Gramsci. Un consiglio ai compagni giornalisti: meno renzismo rutilante e più realtà e sofferenza sociale del Paese».

In modo pragmatico Rossi ha individuato il motivo per il quale sezioni di partito, eletti e tesserati, oltre che comuni cittadini, non comprano più quel giornale: troppo renzismo e poco giornalismo. Anche di area, ma giornalismo.

Renzi sarebbe pronto a investire 1.500.000 di euro derivanti da tesseramento, cene, ecc per risanare il buco di bilancio. Una mossa che a livello imprenditoriale potrebbe risolvere un problema oggi per crearne uno più grosso domani.

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