La mia agenda è tornata a vivere. Dopo tre mesi e mezzo di pagine bianche, finalmente questa mattina è tornata a essere bagnata dall’inchiostro della mia penna. In realtà era dalla fine della settimana scorsa che ero accarezzato dall’idea di estrarla dalla tasca dello zaino dentro la quale è stata in questi mesi, ma per una sorta di scaramanzia ho desistito.
Oggi invece no, oggi l’ho tirata fuori e ho cominciato a scrivere. Ho appuntato tre conferenze stampa in presenza che si terranno la prossima settimana e avrei potuto fare altrettanto questa settimana. Dal mio personalissimo punto di vista, questo è un piccolo segnale: le cose stanno lentamente tornando alla normalità.
Attenzione, metto le mani avanti: normalità non vuol dire che non ci sono problemi, anzi. A Torino di problemi ne abbiamo eccome, soprattutto dal punto di vista economico, e – cito il presidente torinese di Federalberghi – se non ci sarà un piano di rilancio della città ci troveremo davanti a una carneficina occupazionale.
Però il fatto che si stia nuovamente, e in sicurezza, tentando di tornare alla presenza è fondamentale perché eventi organizzati fuori dal web significa gente che usa i mezzi, che prende il caffè al bar, che mangia un piatto di pasta in trattoria, che guarda le vetrine dei negozi, che compra un libro, che porta a casa i pasticcini e così via. A Torino i baristi mi hanno raccontato di una flessione del 70% degli incassi a causa dello smart working.
Ci dicevano che dobbiamo imparare a convivere con il virus, allora facciamolo. Il digitale è stato utile e lo sarà ancora per molto. Di questi mesi di chiusura dovremo tenere il buono, ovvero la possibilità di usare la tecnologia per semplificare alcune cose, ma la tecnologia non può e non deve sostituire le relazioni umane, professionali e la socialità.
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