Il Self Publishing in Italia non funziona: provato sulle mie spalle

self publishingA quasi sei mesi di distanza dalla pubblicazione online di Suicidio Culinario, il mio romanzo, posso dire con soddisfazione che il Self Publishing non funziona. Le vendite non spiccano il volo e la copia digitale non ti permette neppure di farti conoscere: la bontà dello strumento non si mette in discussione, ma i risultati che ne derivano assolutamente sì. 

Ne parlavo questa mattina al bar con una mia amica che lavora per una casa editrice torinese. “Noi conosciamo il lavoro che è stato fatto per preparare il tuo e-book, ma le persone no. Tu perderesti tempo a spulciare tutti i libri che sono online su Amazon?“. Eh sì, ha ragione lei che, pur conoscendo perfettamente la cura con la quale è stato preparato il romanzo, guarda la realtà con gli occhi di chi nel mercato dell’editoria ha investito tempo, passione, energia ed ha imparato a conoscerlo.

Pochi mesi fa, a giugno, ho sostenuto con passione che il Self Publishing fosse una parte del futuro dell’editoria in Italia e probabilmente sarà così, ma non adesso e non nelle dimensioni che immaginavo. Ero convinto che il web fosse utile come vetrina per i giovani autori e che fosse necessario anche alla luce della crisi economica che sta colpendo duramente gli stessi editori: in un Paese che non legge non è facile neppure scrivere. Questo blog dal 18 novembre ad oggi ha totalizzato più di 230.000 visite totali parlando di comunicazione in pubblicità, libri, film, pubblicando racconti e spunti di riflessione. In ogni post pubblicato su questo blog ho sempre inserito un rimando ai canali di vendita di Suicidio Culinario: Amazon e BookRepublic. Il rimbalzo generato ha fruttato 2 copie vendute. E’ per questo che posso dire che il Self Publishing non funziona.

Il mio primo libro, una raccolta di racconti scritti anche peggio di quel che oggi sappia fare, ha venduto più di 600 copie in meno di un anno. Ad oggi il mio romanzo Suicidio Culinario è ben lontano da quel numero di copie vendute, pur essendo un libro scritto meglio e piacevole. Non un capolavoro, ma un libro da sufficienza piena, leggero e a tratti divertente.

Perché ho venduto così poco? Sicuramente non a causa del prezzo che è oscillato tra i 0.99 euro e i 2.99. “Noi conosciamo il lavoro che è stato fatto per preparare il tuo e-book, ma le persone no. Tu perderesti tempo a spulciare tutti i libri che sono online su Amazon?” – questo è il punto: diffidenza dei lettori nei confronti dei nuovi autori; diffidenza verso le forme di pagamento online; difficoltà nell’utilizzo degli strumenti di pagamento e di lettura. Le mie 600 copie non le ho vendute in libreria, ma durante serate di presentazione, raccontando il mio libro e rispondendo alle domande dei lettori: il rapporto umano tra autore e lettore nel Self Publishing al momento è inesistente.

Dunque? Dunque continuo a scrivere, anche perché i racconti che ho pubblicato sul blog li avete letti; continuo a pubblicare i rimandi ad Amazon e BookRepublic; continuo a cercare un editore che pubblichi il libro, ma non per vendere, piuttosto per farlo leggere. Però devo ammettere: il Self Publishing non funziona!!

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Per leggere il mio ultimo romanzo “Suicidio Culinario” vai su Amazon o BookRepublic

Amazon: http://www.amazon.it/Suicidio-Culinario-amico-Pesce-ebook/dp/B00DRFZM08/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1372923753&sr=8-1&keywords=suicidio+culinario

BookRepublic: http://www.bookrepublic.it/book/9788868552060-suicidio-culinario-io-e-il-mio-pesce-palla/

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16 pensieri riguardo “Il Self Publishing in Italia non funziona: provato sulle mie spalle”

  1. Non è una questione di diffidenza, ma di visibilità! Immagino che tu sia al corrente del disco che pubblicheremo a gennaio, vero? Del lavoro di 2 anni per scrivere, registrare e produrre canzoni. Purtroppo viviamo in un mondo con una “iperproduzione” (leggi: la domanda è inferiore all’offerta) e questo rende difficilissimo anche soltanto far apparire il proprio nome fuori dalla cerchia dei propri contatti. La tua amica ha ragione, e la soluzione è “la promozione” (che non è affatto qualcosa che qualcuno deve fare gratis per te, anzi). Essere un’artista oggi equivale a fare l’imprenditore: se non direttamente tu, qualcuno deve investire nelle opere (per realizzarle e per promuoverle), e come per tutti gli imprenditori che sono sul mercato esistono due fattori da temere più della morte: la richiesta di mercato e la possibilità di fallire! Con tanta stima ti auguro di continuare a lavorare raccogliendo sempre maggiori soddisfazioni (la perseveranza riserva grandi sorprese nella vita!).

    1. Anche tu hai ragione.. E visto che ci siamo e che questo blog vuole essere un laboratorio artigianale di libero pensiero e fermento artistico, se vorrai mandarmi una demo del tuo cd o il materiale promozionale gli dedicherò un post.. 🙂

  2. Intanto ti faccio i miei complimenti perché credo che tu sia il primo ad aver ammesso un errore di valutazione e ad averne tratto qualcosa di costruttivo per quanto riguarda il selfpublishing. Non mi stupirebbe se riuscissi a vendere qualche altro ebook con questo post (tanto per smentirti).
    Completo il post/commento: è una questione di visibilità E diffidenza. Ma lo è pure per l’editoria tradizionale, non ti credere. Inoltre tu dici che non funziona in Italia perché giustamente tu l’esperienza l’ha fatta qui. Ad un incontro a Milano un editore ci disse che Amazon in America aveva fallito come editore e credo che le motivazioni siano quelle che hai espresso tu.
    Secondo me l’esperimento andava tentato e se mai questa cosa del selfpublishing decollasse sei in prima file. Altrimenti poco male, hai tentato, ti sei messo in gioco, mica poco.
    [Non mi si scoraggi neh!]

  3. Buonasera o (a seconda dell’ora in cui mi leggi) buongiorno. Mi permetto di darti del tu perché mi riesce difficile dare del lei alla persona che ha scritto questo articolo. Io un mesetto fa presentavo un esperimento che è arrivato alla tua stessa conclusione: l’auto pubblicazione, in Italia, non funziona. Perché siamo un popolo di scrittori, o meglio, di vanitosi scribacchini. Perché chiunque è convinto di avere le capacità di scrivere e chiunque (purtroppo) lo fa. E come lo fa? Mandando i manoscritti agli editori e dopo una settimana deviando sul self. A volte si butta subito sul self appena scopre che dal libro edito da una casa editrice prenderà un misero (se va bene) 10%. E allora si tenta il colpo grosso, che poi farebbe ridere perché il colpo grosso è il 30% di 89 centesimi, quindi anche meno di quanto prenderesti con l’editore dietro.
    Va bene, io con il mio “Il Nulla” ho dimostrato che la gente scarica il gratuito, ma non lo legge. Su 250 copie uno solo ha avuto l’ardire di lamentarsi del vuoto che il libro ha creato nel suo Kindle. Perché quello faceva: bloccava il Kindle per un oscuro motivo. Gli altri 200 circa (alcuni erano miei contatti che mi seguivano nell’esperimento) non l’hanno nemmeno aperto. Come quello tanti altri libri hanno contenuti vuoti, nel senso che ci sono tante parole ma poco romanzo. E conoscendo questa situazione un lettore che vede l’auto prodotto in Italia, si chiede se ne valga la pena di spendere anche solo 89 centesimi. Come dice la buona Carlotta qua sopra, che saluto.
    Ora sarò più esplicito e diretto: nel marasma, nel mucchio di merda, trovare la perla è difficile. Difficile non perché non ce ne siano e sono convinto del contrario, ma difficile perché me lo dice l’autore. E l’autore spesso non può parlare male di un proprio libro. Se scarico 100 libri di cui 100 autori parlano benissimo, appena trovo il 101esimo (per esempio il tuo) mi son già rotto le palle di leggere schifezze. E penso che quel 101esimo lo sia, una schifezza.
    La colpa è tutta qui. Se gli italiani scrivessero meno e leggessero di più la qualità del self (e non solo, diciamocelo) sarebbe ben superiore. Questo è il motivo. Il self funziona, ma solo se usato bene. Anche le torte fatte in casa sono buone, ma se al mercato dell’hand made mi trovo torte che sanno di merda, torno a comprare quelle confezionate del supermercato, che non saranno buonissime ma almeno non rischio l’avvelenamento.
    Tutto qui. E in bocca al lupo per il tuo libro.

  4. In realtà ci sono stati anche in Italia casi di romanzi autopubblicati che hanno venduto migliaia (“Il mondo di Lulz” di Antonio Fanelli) o addirittura decine di migliaia (“Alice senza niente” di Pietro De Viola) di copie in versione digitale. E c’è stato il caso clamoroso di Fabrizio Boaretto, che sostiene di aver venduto 12.000 copie in cartaceo del suo romanzo autopubblicato “Undiciduepuntiundici” semplicemente piazzandosi fuori dalle librerie e convincendo i lettori uno per uno (è probabile che esageri un po’ le cifre, ma d’altronde lo fanno anche gli editori).

    Certo, sono mosche bianche: per la maggior parte dei selfpublisher è molto più dura. Ma se può consolarti è dura anche oltreoceano: una ricerca ha dimostrato che negli USA un autore autopubblicato guadagna in media l’equivalente di 500 euro l’anno grazie alle vendite dei suoi romanzi. Più di quanto guadagnerebbe in Italia, ma comunque non un granché.

    (Per la cronaca: faccio parte della categoria anch’io. Da giugno a oggi il mio romanzo autopubblicato ha venduto meno di sessanta copie).

  5. Dopo venticinque anni di scrittura solitaria e appassionata (lo so… detto coì suona male…), dopo aver vinto alcuni premi letterari e pubblicato molti racconti, dopo aver rispedito al mittente varie offerte di pubblicazione “a pagamento”, nel 2009 ho pubblicato “su carta” il mio primo romanzo con una casa editrice “vera” a cui ne è seguito un secondo nel 2011. Siccome nel frattempo sono stato finalista al Torneo Io Scrittore, nel 2012 GEMS mi ha pubblicato un terzo romanzo in ebook.
    Al di là del loro valore, che non sta a me stabilire, nessuno dei tre romanzi ha potuto beneficiare di una grossa promozione, i primi due perché la casa editrice, per quanto seria e professionale, non ha grossissime cifre da investire (anche se nell’ultimo anno è cresciuta parecchio), il terzo perché GEMS, che pure è la quarta o quinta realtà editoriale italiana, non è che si sia spaccata in quattro per promuovere i finalisti del concorso, concentrandosi (dal loro punto di vista a ragione) sui pochi a cui è stata offerta la successiva pubblicazione cartacea.
    Il risultato in termini di vendite, pur superando le 2 copie vendute dall’autore del post (eheheheh), non è stato certo tale da indurmi a lasciare il lavoro per mettermi a fare lo scrittore di professione.
    Questo per dire che la realtà della stragrande maggioranza degli scrittori italiani pubblicati consiste in un bottino di vendite di qualche centinaio di copie (qualcuno del settore mi ha giurato che più della metà dei romanzi pubblicati in Italia non arriva a vendere 100 copie…); poi c’è una percentuale minima di scrittori che vende nell’ordine di qualche migliaio di copie e infine una ristrettissima cerchia di “eletti”, che dubito ammontino a più di 500 persone al massimo, che riesce a vivere di sola scrittura.
    Quelli che si arricchiscono (Faletti, Camilleri, Volo…) saranno al massimo 20 scrittori in Italia.
    In una realtà come questa, pensare che basti autopubblicare e mettere il proprio romanzo on line per trovare dei lettori è una ingenuità. E quelli che da anni teorizzano la bellezza e la democraticità dello strumento dell’autopubblicazione, che permetterebbe di evitare le forche caudine delle case editrici tradizionali per lasciare la valutazione del proprio talento letterario allo sterminato pubblico del web, non sanno quello che dicono e parlano di aria fritta.
    Perché è inutile che chiunque possa pubblicare qualsiasi cosa se poi si finisce in un calderone indistinto e anonimo, magari in una celletta dei mega alveari di community come “Il mio libro”.
    Ma soprattutto perché alla fine, caro amico, il proliferare indiscriminato di proposte editoriali spesso (diciamolo sottovoce per non offendere nessuno) di modesta qualità, sta facendo la fortuna di pochissimi, (così pochi che quando ne viene fuori uno si grida al miracolo e si sbandiera come un santino) penalizzando la categoria nel suo complesso.
    La mia modestissima opinione è che oggi un giovane autore di talento faccia più fatica di prima a emergere. Il rischio vero è che in futuro emergano soprattutto gli esperti di marketing librario, capaci di vendere bene il loro (auto) prodotto o quelli che hanno abbastanza soldi da incaricare esperti del settore di promuovere i loro libri.
    Alla faccia della presunta democraticità del web…
    Sai una cosa? Molti invocano a gran voce la morte delle case editrici.
    Io, con tutti i loro difetti (che sono tanti) gli auguro invece lunga vita.

  6. Credo sia un po’ difficile valutare su due piedi questo tuo articolo. Nel senso: non so che tipo di promozione tu abbia fatto. Se hai “spammato” (in senso buono, cioè con criterio e in modo mirato) in vari gruppi di lettura, se hai utilizzato i social network al meglio, se hai avuto recensioni da alcuni blog ecc ecc, oppure se hai semplicemente messo il tuo libro online e sperato nella dea bendata. E’ F-O-N-D-A-M-E-N-T-A-L-E. Oltre ad una copertina che attiri l’attenzione in maniera particolare. Io, con il mio primo libro, da self, ho venduto più di 5.000 copie. Sicuramente fortuna, ma credo anche un uso intelligente degli strumenti di cui sopra. Per contro, è uscito da due giorni il mio nuovo libro, e siccome non ero a casa e ho avuto la connessione solo per pochissime ore, non ho potuto pubblicizzare quasi per nulla e il libro sta partendo in sordina (rispetto al segreto, sono comunque 4° in fantascienza dietro gli hunger games) con poche copie vendute. Insomma, farsi conoscere (nella giusta maniera) è uno sbattimento non da poco, ma o così, o apri le braccia al cielo e aspetta la manna. Ma dubito che ce ne sia rimasta molta dai tempi dell’Esodo 😀

    1. Riccardo NON è sicuramente dipeso dalla fortuna se hai venduto 5000 copie. Probabilmente di fondo si sarà il fatto che il libro è buono, ma non solo. Tu dimostri di conoscere gli strumenti dell’auto promozione. E’ il risultato di un lavoro che, a quanto ho capito, è stato quasi professionale perchè sei uno che conosce i meccanismi del web e della promozione. Ma questa è la conferma di quanto dicevo sopra: oggi la differenza la fa la capacità di vendere il “prodotto” libro. Solo che siamo in una fase pionieristica. Poco per volta molti impareranno come si promuove un libro o, comunque, molti si affideranno a professionisti della promozione che già vedo spuntare come funghi. Fra qualche anno, all’aumentare della consapevolezza degli autori e dei professionisti della promozione, il mercato tornerà a livellarsi e sarà più difficile “spiccare”.
      Alla base di tutto questo c’è però una questione che mi sta molto a cuore: e la qualità? Il talento? Che spazio avranno? Maggiore o minore di quello (già risicato) che hanno oggi?
      Non mi piace la deriva che sta prendendo il mercato letterario.
      I nuovi strumenti di pubblicazione mi sembra lo portino a diventare sempre più “mercato” e sempre meno “letterario”.
      Da questo punto di vista il self non risolve i problemi di scarsa attenzione alla qualità legati al fatto che le case editrici tradizionali lavorano male, ma piuttosto li aggrava.
      E, ripeto, temo che a farne le spese temo saranno, per assurdo, proprio i nuovi autori di talento…

    1. “Un altro vocabolo fondamentale per chi voglia scrivere su più tavoli è il linguaggio. Lo scrittore ha un’idea tutta sua del linguaggio, perché lo associa solo ai processi creativi” – Vincenzo Cerami, Consigli a un giovane scrittore..

      Con questo non voglio dire che tu non abbia ragione, anzi ne hai un sacco.. Voglio dire che, da quel che sto notando anche in seguito a questa discussione, gli editor si concentrano molto più sulla forma che sulla sotanza.. Perché ho scritto sulle mie spalle? Perché esprime un senso di pesantezza che è quel che volevo trasmettere con il titolo.. sulla mia pelle avrebbe espresso quale sensazione? In questo caso il significato conta..

  7. Ero di passaggio alla IBS di Novara. Mi guardo in giro all’interno e un signore con gli occhiali ne approfitta per presentarmi il suo libro, scoprirò poi trattasi di Fabrizio Boaretto. Il libro mi piace, cerco quindi l’altro suo romanzo, questa volta in formato epub…vado su google e mi imbatto in questo articolo che mi incuriosisce…..decido quindi di acquistare l’ebook su Bookrepublic …..
    ……sono cmq d’accordo sui limiti culturali che ho letto nell’articolo relativi all’italiano medio….diffidente per natura ai pagamenti online e scarso lettore in generale….per me che acquisto sovente con paypal ed apprezzo la comodità della lettura digitale, il selfpub è qualcosa di prezioso….purtroppo però non siamo in molti…..in italia per lo meno….in bocca al lupo!

  8. salve, secondo lei questo vale anche se il libro autopubblicato è un libro didattico che tratta argomenti d’interesse, che possono venire ricercati facilmente online?

    1. Salve, Marta.. la domanda che mi pone non è semplice. I libri prodotti in self publishing hanno necessariamente bisogno di una buona politica di social media marketing per essere promossi nel modo migliore. Difficile guadagnare con prodotti auto-pubblicati anche perché ci sono ancora molte diffidenze nello strumento del pagamento online. Io però ho adottato questa tecnica nel caso dei libri auto-prodotti: li pubblico online e li faccio scaricare gratuitamente in pdf.

      Ovviamente nel caso specifico che mi propone il prodotto sarebbe specialistico e potrebbe suscitare interesse, ma rimangono i punti di cui sopra.

  9. Ah certo, lo “provi sulla tua pelle” e da geniale Sherlock ne trai l’inferenza logica inconfutabile che è così.
    Mi inchino davanti al tuo genio.

  10. Daccordissimo con l’autore di questo post. Ho pubblicato da circa un mese un libro che si chiama “Storie dall’Entropia” – chiedo scusa se “mi pubblicizzo” qui, se non è consentito, prego, fatemelo sapere – e posso dire di non aver venduto neanche una copia, fin’ora. Nessuna possibilità di spingerlo inoltre tra parenti ed amici: semplicemente, a nessuno importa. Detta così è tragica ed effettivamente lo è. Non abbiamo la cultura per certe nuove libertà creative: tutto qui. Abbiamo sempre bisogno di un’intermediario, di qualcuno che dica per noi “questo è bravo” e cose simili. Di grandi case editrici e multinazionali che facciano tutto il lavoro per noi: perché certo loro non sbagliano mai, giusto? Chiunque venga pubblicato da loro, deve essere per forza in gamba. Non sappiamo giudicare per conto nostro anzi… diamo la colpa alle nostre capacità, fingiamo che se non abbiamo venduto è solo colpa nostra, che il libro non era scritto così bene, e che avremmo dovuto fare meglio, anche se magari, confrontato con un libro “di un professionista”, non c’era poi tutta questa differenza. Diamo la colpa ai prezzi, ai formati, alle nuove tecnologie, alle statistiche, alle indagini di mercato e al genere. A tutto insomma, senza mai centrare il punto. E questo punto è: ci interessa davvero degli altri? Grazie dell’attenzione.

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