Il problema è che quando ho finito di leggere A sangue freddo di Truman Capote mi sono sentito a disagio.
A consigliarmi l’opera del giornalista statunitense è una donna polacca che incontro durante un viaggio in treno. Siamo tutti e due ospiti di una vecchia linea ferroviaria di provincia: io ho in mano L’amore ai tempi del colera di Gabriel Garcia Marquez, lei mi si siede di fronte e attacca bottone. Parliamo per tutto il viaggio di narrativa, scrittori, letteratura e quando scende poche fermate prima di me sono convinto che se l’avessi incontrata quarant’anni prima mi sarei perdutamente innamorato di lei.
Truman Capote in A sangue freddo racconta le pieghe che stanno in mezzo alla carne: espone i fatti; sente gli umori; riporta le cronache; descrive le emozioni, le collere e le paure; traccia le contraddizioni. Holcomb, Kansas, una rispettabilissima famiglia viene massacrata dentro la propria abitazione, il movente della strage è apparentemente inspiegabile: da una parte ci sono le vittime, la famiglia Clutter (Herbert, Bonnie, Nancy e Kenyon); dall’altra ci sono gli assassini Perry Edward Smith e Richard Eugene Hickock. Non vi racconterò la storia: chi la conosce non sentirà l’esigenza; a chi non la conosce non vorrei rovinare la lettura.
Lo scrittore e giornalista statunitense colpito dall’accaduto chiede al proprio giornale, il New Yorker, di poter seguire la vicenda: fa ricerche; ascolta gli abitanti della cittadina; si informa sugli sviluppi delle indagini; raccoglie informazioni sulla famiglia trucidata; conosce i colpevoli e li incontra in diverse occasioni. Da questo minuzioso lavoro nasce quello che verrà definito il primo romanzo-reportage o romanzo-verità della storia della letteratura.
Ammetto: il problema è che quando ho finito di leggere A sangue freddo mi sono sentito a disagio perché Capote è stato così bravo nel suo lavoro da fare in modo che la mia opinione sui fatti mutasse durante il corso della lettura.
Un vero e proprio percorso, la lettura dell’opera è un viaggio complesso e completo. Il disgusto per un assassinio senza alcun senso è il filo conduttore della narrazione, però poi accade qualcosa che è anche difficile da comprendere. I protagonisti diventano i cattivi, che non hanno scuse e non meritano perdono, ma che diventano più umani e di essi vengono svelate le debolezze, anche quelle più intime.
A sangue freddo viene pubblicato nel 1966, e Truman Capote ha il grande merito di aprire un fronte immaginario di dialogo dedicato alla pena di morte negli Stati Uniti d’America. Nella sua scrittura il giornalista non giudica e non fornisce alcun depistaggio al proprio lettore, lasciando in dono quello che potrebbe essere un vero e proprio manuale di linguaggio giornalistico. Pensate se Capote fosse stato inviato a seguire le stragi di Erba, Cogne, Perugia o in altri teatri degli orrori all’italiana.
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della narrazione, però poi accade qualcosa