Oggi vi propongo un brano tratto da Suicidio Culinario, il mio romanzo. In questo caso non pubblico per intero il capitolo in questione, ma solamente la prima parte. In questo capitolo racconto di amore e morte: esiste un legame tra le due cose? Narro la vicenda di due ragazzini che non è affatto estranea alla narrazione.
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“Così il nostro amore non avrà mai fine”
“Stai attento mi disse ed io gli risposi: Papà di cosa devo stare attento. Lui mi guardò e ripeté: Stai attento”. Aveva le lacrime agli occhi mentre lo raccontava. Era un uomo robusto e basso. Con i capelli corti ed una vistosa calvizie sulla nuca. Negli anni aveva coltivato con attenzione un pizzo che era diventato lunghissimo e appuntito. Era sempre allegro e di buon umore, ma non quel giorno.
Cornetti alla crema, saccottini al cioccolato, cannoli alla panna in vetrina. Al bancone sempre qualcuno: cappuccini, caffè o marocchino. Al fondo della sala qualche tavolino. Il solito avventore con il giornale aperto e la colazione davanti che si lamenta del Governo e delle tasse che “sono sempre di più ed a pagare siamo sempre noi”. Alla radio un po’ di musica. Fuori pioveva.
“Sembra l’altro ieri” – aggiunse l’uomo mentre riempiva un bicchierino con dell’acqua gasata e riponeva una tazzina di caffè sopra un piattino color pistacchio.
“Ma se nei cornetti oltre alla marmellata mettessimo anche uno strato di nutella?” – lo interruppe una cliente abituale in preda ad un raptus di golosità. La donna indossava un paio di occhiali dalla montatura tonda, grossa e scura.
“E perché no?” – le rispose l’uomo. Dirigeva il locale in punta di tazzina: decideva, ordinava e impartiva, ma senza arroganza o prepotenza. Poi rivolgendosi nuovamente all’aspirante suicida che stava contemplando il caffè disse – “Amianto”.
“Brutta bestia quella” – rispose. L’amianto era un killer ancora peggiore del Pesce Palla. Un assassino invisibile che non faceva distinzioni tra uomini, donne o bambini. Era quella polvere che si introduce come un ladro di notte nei polmoni dei lavoratori. Rubava secondi, minuti, ore, giorni, mesi, anni alle vittime; rubava volti, voci, profumi, sensazioni ai loro parenti.
“Nessuna riga sui giornali, nessun risarcimento, ma ancor peggio nessun processo. Mi ricordo le sue parole come se fosse ieri” – e concluse con un sospiro profondo.
Il momento passò in un secondo, come quando arriva il temporale nel mezzo di una giornata di sole in estate. “Cose da pazzi” – disse con un forte accento meridionale l’uomo che era seduto al fondo della sala. Si alzò, lasciò il giornale aperto sulla pagina in cui era, pagò e uscì dal locale. La pagina era dominata dalla fotografia di una villetta. Il muro di cinta era alto e composto di mattoni rossi. Il cancello era in ferro battuto e chiuso. In primo piano il nastro bianco e rosso che avevano affisso i carabinieri quando avevano posto sotto sequestro l’abitazione. L’articolo raccontava di come una coppia di fidanzatini, avevano appena compiuto sedici anni entrambi, avessero deciso di togliersi la vita per poter vivere il loro amore. Il giornalista spiegava che i genitori dei due ragazzi avevano mostrato qualche perplessità su quella precoce relazione, almeno nel modo in cui era vissuta, perché era diventata totalizzante. Vivevano esclusivamente l’uno per l’altra. Negli ultimi tempi, di comune accordo, le due famiglie avevano deciso di porre dei freni ai due sedicenni che avevano dato segni concreti di un progressivo distacco dalla realtà: il rendimento scolastico era crollato, le visite degli amici erano diventate una rarità, i pranzi in famiglia sembravano essere solamente un peso. Queste le indiscrezioni che erano trapelate.
Il macabro ritrovamento lo aveva fatto il padre della ragazzina, anche perché il teatro dell’estremo atto d’amore era l’abitazione della fanciulla. L’uomo era rincasato dal turno in fabbrica nel primo pomeriggio, alle 15 circa secondo quanto riferito dagli inquirenti. I due giovani suicida avevano studiato il piano con estrema attenzione perché avevano atteso il periodo giusto per commettere il folle gesto visto che solitamente, causa cassa integrazione, l’uomo era più a casa che in azienda. Avevano atteso il primo giorno dei tre, in quel mese, che sarebbe dovuto andare a lavorare.
Entrato nell’abitazione il signor tal dei tali aveva cercato la figlia. Aveva notato con stupore come non fosse in salotto a studiare davanti alla televisione, era un’abitudine che aveva cercato più volte di farle togliere. Interpretò, nonostante il divieto che le famiglie avevano imposto, come un presagio di sventura il fatto di non aver trovato in casa neppure il fidanzatino della figlia. Non era mai capitato che i due uscissero nelle ore pomeridiane, nemmeno per andare a bere una cioccolata calda al bar vicino.
Secondo la ricostruzione che l’uomo aveva fornito ai carabinieri, prima di salire al piano superiore della villetta, si era recato al bagno del pian terreno per lavarsi le mani. Poi dopo aver preso un pacchetto di grissini e un pezzo di formaggio, ancora mangiando, si era diretto verso la camera da letto della figlia. La porta era socchiusa. La radio era accesa, ma a basso volume, di sottofondo. Era evidente che la figlia fosse in camera sua. “Amore?” – domandò l’uomo che non ricevette alcuna risposta.
Non accelerò il passo. Non alzò la voce. Non insistette nel chiamare la figlia. Il suo cuore però cominciò a battere. Quando aprì la porta si ritrovò davanti ad uno spettacolo sconvolgente. Basta un secondo per morire. I due ragazzini si erano impiccati alla trave del soffitto della camera da letto della piccola donna. Non erano a fianco, ma uno di fronte all’altro. L’ultima cosa che videro i due giovani prima di concludere la loro breve vita furono gli occhi l’uno dell’altra. Il padre cercò un coltello, si gettò sulla figlia e la tirò giù. Lo stesso fece con il ragazzo. Poi chiamò i soccorsi, ma tutto ormai era inutile.
I carabinieri trovarono un solo bigliettino, firmato da entrambi i suicida. Pochissime parole:
“Così il nostro amore non avrà mai fine“
Quei due ragazzi avevano deciso di bloccare l’attimo, il momento. Avevano capito che il loro amore non sarebbe mai finito solamente se avessero fermato quell’istante. Non erano le famiglie a far loro paura. Non erano i rivali. A far loro paura era la vita stessa. E’ la vita, il normale svolgersi dei fatti, che può distruggere un sentimento anche solo per banalità.
di @GioeleUrso1 – redazione@tempestadicervelli.com
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