“Voglio fare il giornalista”. “Farai lo stage da noi”. Almeno i sogni non siano precari

reportSarà che un po’ in quel bimbo mi sono rivisto; sarà che credo che almeno i piccoli abbiamo ancora il diritto di sognare e di farlo a tempo indeterminato; sarà che vedo talmente tanto marciume attorno a noi che l’unica speranza che ripongo è quella nelle future generazioni e sono convinto che loro debbano essere protette. Ieri sera Report ci ha raccontato come i giovani italiani debbano preparare i bagagli e imbarcarsi sul primo aereo per l’altra parte del mondo per poter dare gambe ai loro sogni, ma allo stesso tempo ci ha fatto comprendere come la precarietà nel mondo del lavoro ormai faccia parte del nostro DNA.

Minuto 54 e 36 secondi, l’inchiesta sulle startup sta praticamente per finire. Il giornalista ci sta presentando una scuola di Scampia dentro la quale gli insegnanti hanno adottato un metodo di insegnamento differente che sembra portare buoni risultati. In pratica insegnano la matematica, la geometria e le altre materie proiettando i bimbi in quella che dovrebbe essere una imitazione del mondo reale. Al seguente link potete vedere l’intera inchiesta e anche il servizio di cui vi sto parlando: http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-a31abb5d-9a75-4947-8628-445afaa5ea0d.html. Il giornalista per chiudere al meglio il servizio chiede ai bambini cosa vorrebbero fare da grandi: chi il pilota, chi l’avvocato e chi invece vorrebbe diventare un suo collega. “Voglio fare il giornalista perché mi piace tanto scrivere” – dice un bimbo mentre si poggia gli occhiali sul naso. Il servizio è chiuso e si torna in studio. Milena Gabanelli sorridente risponde al bimbo dicendo: “E poi ti prendiamo a fare lo stage da noi“.

Ecco. È questo che intendo quando dico che la precarietà del lavoro ormai fa parte del nostro DNA. Per la Gabanelli quella era una semplice battuta, ma per la generazione che nelle offerte di lavoro trova solo proposte non retribuite o stage o collaborazioni sottopagate è un piccolo schiaffetto. Io spero che il mondo dell’editoria cambi prima che quel bimbo cominci a scrivere e a innamorarsi di questo mestiere. Se così non dovesse essere spero che cambi presto idea quel bimbo; che qualcuno gli dica che non deve accontentarsi di uno stage; che non deve lavorare gratuitamente con la speranza di prendere il tesserino; che il tempo che spende, in qualsiasi momento della sua gavetta, ha un valore.

Va beh, forse l’ho presa un po’ troppo a cuore questa faccenda, ma il fatto è che una delle cause della salute pessima che gode la nostra categoria è proprio la precarietà che siamo costretti a subire. Colpa degli editori, del mercato, ma anche colpa nostra.

La finisco qua, ma la prossima volta a quel bimbo proviamo a regalare un sogno decente, in fondo è solo un desiderio.

Twitter: @gioeleurso1

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1 commento su ““Voglio fare il giornalista”. “Farai lo stage da noi”. Almeno i sogni non siano precari”

  1. Vivo all’estero da più di 4 anni e mezzo. Quando ero ancora a Milano, all’epoca dell’università e poco dopo, tentai a farmi strada nel mondo del giornalismo e della pubblicità. Con risultati alquanto deludenti. Mi ricordo che di tanto in tanto qualche giornalista coraggioso denunciava in programmi televisivi la brutta china presa dal mercato del lavoro. Stage, contratti a progetto, etc. Beh, vedo che le cose non sono cambiate affatto.

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