“L’algoritmo che è alla base dei social network e dei sistemi informatici non può essere privato, riservato ed esclusivo“, è questa la tesi che Michele Mezza, giornalista RAI in pensione e autore del libro Algoritmi di libertà. La potenza del calcolo tra dominio e conflitto, ha sostenuto durante l’evento dig.it che si è tenuto a Torino il 5 ottobre.
Digit Torino è stata un’occasione di formazione e incontro tra giornalisti piemontesi sul tema della digitalizzazione. Hanno parlato di copyright, di giornalismo digitale, di accesso alle fonti, di contratti giornalistici e di tanto altro ancora, ma il tema del libero accesso all’algoritmo che regola i social network è quello che mi ha colpito di più.
Chi segue questo blog da tempo sa benissimo che quello dell’algoritmo è un cruccio che mi tormenta da parecchio. Facebook in particolare, ma anche le altre piattaforme, hanno stravolto completamente il modo di fare informazione, blogging e comunicazione. E alla base di questa rivoluzione c’è il loro algoritmo che mette in evidenza certi contenuti e ne oscura altri.
Un problema che è stato certificato (nel senso che anche i più imbranati si sono accorti della gravità della situazione) grazie al caso di Cambridge Analytica: l’algoritmo e i social network hanno influenzato le scelte elettorali di numerosi utenti della rete. Come? Semplicemente grazie ai contenuti che Facebook faceva vedere loro. Uno scandalo che ha messo in luce la questione della democrazia digitale.
Ma non è solo una questione di democrazia, è anche una questione di consumi. Un esempio? Ogni piattaforma di distribuzione di contenuti online come Netflix o Spotify ha il proprio algoritmo, ma ha anche una serie infinita di produzioni proprie tra film, serie tv e musica. L’utente quando si collega al sito si trova davanti a una svariata scelta di contenuti che la piattaforma stessa gli consiglia. Il maggior numero di contenuti proposti sono di produzione della piattaforma. Questo meccanismo influenza o no le scelte dell’utente e di conseguenza il mercato?
L’algoritmo dunque deve essere pubblico e non può essere privato perché influenza le nostre scelte e noi abbiamo il diritto di conoscere. Vedetela un po’ così: l’algoritmo è pari alle frequenze radio o a quelle televisive. L’algoritmo serve a far viaggiare le informazioni e a selezionare quelle che l’utente può vedere. Senza l’algoritmo l’utente sarebbe inondato di informazioni e non riuscirebbe a seguire tutto abbandonando lentamente la rete. L’algoritmo dunque è utile, ma deve essere regolato, deve essere trasparente.
È questa la battaglia del futuro imminente.
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