Ammetto, non ho mai letto nulla del neo Premio Nobel Alice Munro, ma nonostante questo ho accolto con sorprendente entusiasmo la sua premiazione. Perché? Semplice: perché a mio avviso rappresenta lo sdoganamento di un genere che ha subito troppi colpi da un certo tipo di letteratura eccessivamente snob, radical chic e pipparolara. Sia chiaro oggi voglio parlare come mangio e non mi cimenterò in un arzigogolamento mentale che vi farebbe solamente annoiare,anche perché il muco prodotto dal raffreddore sta cominciando a conquistare il mio cervello inibendo le mie ormai ridotte capacità intellettive.
Dunque, come vi dicevo all’inizio, io non ho mai letto nulla della Munro, ma ho avuto modo di leggere un’opera di Niccolò Ammaniti, per la precisione di una raccolta di racconti dal titolo “Il momento è delicato“. Il libro, edito da Einaudi, comincia con una comunicazione dell’autore per i lettori: un pensiero con il quale Ammaniti spiega le ragioni della sua passione per il racconto.
Dice: “Per fare un esempio, per il primo racconto, “Giochiamo?” [il primo racconto della raccolta], qualcuno mi aveva raccontato che al policlinico di Roma degli infermieri bastardi puntavano i vecchi in fin di vita e se vivevano soli gli rubavano le chiavi di casa. Nel momento in cui se ne andavano al creatore gli ripulivano l’appartamento. <<E se…?>> Ecco come mi parte una storia. Da una semplice (e spesso inverosimile) ipotesi. E se l’infermiere entra nella casa e dentro ci trova un mostro, un nipote mostruoso e disperato per la mancanza della nonna? E’ una domanda che produce un’invenzione, la molla che mette in moto ogni racconto che scrivo” – e fin qui racconta della scintilla, di quel particolare che accende la passione dell’invenzione.
Poi continua: “I romanzi assomigliano a montagne altissime e per affrontarli ci vuole la luce del sole. Dal fondovalle riesco ad ntravedere appena la cima avvolta dalle nuvole. Riconosco una possibile via di arrampicata attraverso guglie affilate e morene, poi gobbe morbide dove potrei sistemare il campo base, poi più in alto i campi successivi. Attacco la montagna dal basso con in testa un’idea chiara su come conquistare la cima, poi scalando scalando mi accorgo che devo variare il percorso, che certe pareti sono troppo lisce per affrontarle di petto. Ogni tanto (raramente) ho dovuto rinunciare. Un lavoraccio, insomma. Forse per questo amo i racconti. Sono corse a occhi chiusi. Sono scatti di potenza. Non hanno bisogno di grandi sviluppi psicologici dei caratteri, di architetture complesse, ma di colpi di scena che ribaltano il corso degli eventi” – e infine conclude – “Ecco, se dovessi fare un paragone azzardato, il romanzo è una storia d’amore, il racconto è la passione di una notte“.
E’ così che Ammaniti è riuscito a descrivere quel che penso del racconto, ma avevo troppo pudore e mi ero convito che avessero ragione gli snob, radical chic e pipparoli e non volevo confessarlo: ma dopo il Nobel di ieri alla Munro oggi vuoto il sacco.