Lo dico senza la spocchia arrogante di chi vuole fare solamente lo snob, ma se Fabio Volo può pubblicare un articolo sulla pagina culturale del Corriere della Sera, io posso tranquillamente dirigere il quotidiano di Piazza Solferino.
Sia ben chiaro, non ho nulla contro Fabio Volo, ma evidentemente aumentare il numero di copie vendute non è la stessa cosa di fare un quotidiano di qualità. Credo che nel giornalismo debbano esserci dei paletti che non vanno oltrepassati e uno di questi è quello che rappresenta il valore aggiunto delle competenze: la pagina economica la scrive chi è esperto di economia, quella politica idem, la cronaca nera pure e quella culturale lo stesso.
Nel turbinio di notizie che hanno occupato i giornali di ieri, una in particolare mi ha colpito: Addio al “New York Times” – Grandi firme verso i new media. Tra le righe Paolo Mastrolilli de La Stampa ci racconta di quello che sta accadendo all’interno del mondo giornalistico statunitense con le firme più brillanti che vengono contese dalle maggiori testate cartacee e online. Ci dice che gli editori stanno guardando al futuro esplorando e sperimentando sul web e che “ci sarà sempre un mercato per l’informazione competente, anche se il “New York Times” smetterà le pubblicazioni cartacee. E’ vero che smartphone, blog e internet hanno reso tutti giornalisti, ma pochi possono raccontare Washington come Berke o Silver“.
E’ in Italia cosa succede? Che il maggiore quotidiano, quello con la storia più gloriosa, affida anche solo un misero spazio della sua pagina culturale domenicale a Fabio Volo che è sicuramente uno degli scrittori più venduti, ma che non è un esperto di letteratura e che non è neppure uno dei migliori scrittori italiani. Anche io leggo i libri di Volo, lo trovo rilassante ed è un ottimo argomento di conversazione con le ragazze, ma per cortesia, ripeto, allora io posso benissimo dirigere il Corriere…
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