Un racconto pop-porno e romantico – I sogni sono desideri

Quello che vi propongo oggi è il decimo capitolo del mio romanzo Suicidio Culinario: si tratta di un’estratto che definirei un mix tra il pop-porno e il romantico. Come mi ha fatto notare un’amica alcuni capitoli potrebbero benissimo vivere anche fuori dal libro e allora perché non proporveli? Vi auguro una buona lettura.

I sogni sono desideri

I sogni sono desideri. I sogni tutti. Non solo quelli che si fanno ad occhi aperti sperando che qualcosa accada, ma anche quelli che si fanno nel caldo della propria camera da letto, di notte, quando alla finestra c’è solo la luna avvolta dalle stelle.

Il tappo della bottiglia di whisky era ancora per terra a metà strada tra il tavolo e il divano. Si confondeva tra le chiazze delle mattonelle: alcune nere, alcune bianche, alcune granata. Quando si era trascinato a letto ne aveva bevuta già metà. Era stata una di quelle sere ricamate apposta per esagerare. Era conciliante il gusto del whisky: amarognolo e infiammante.  I piccoli sorsi che ingeriva andavano ad accendere le ferite che si portava dentro perché se di giorno si potevano ignorare, di notte era impossibile.

Era nel suo letto e tutto attorno era buio. Non vi era alcuno spiraglio di luce che potesse permettere al suo occhio di fare conoscenza con l’ambiente che lo circondava. Era assoluta l’oscurità, come quella degli abissi nella quale vivono creature che nessuno conosce.

Era ancora sdraiato quando lentamente girò la testa alla sua destra. Con una mano cercò di tastare la superficie del materasso sul quale si era risvegliato. Le sue dita fecero una scoperta piacevole. I suoi polpastrelli tastarono la pelle morbida e ancora sudata della donna che aveva al suo fianco. I suoi occhi cominciarono a vedere nuovamente. La sua memoria gli rammentò la verità.

Vide il viso candido di lei. Aveva gli occhi chiusi e le labbra leggermente aperte. Una ciocca di capelli le copriva parzialmente il volto. Era quasi impercettibile il movimento del suo respiro. Rimase qualche secondo a guardarla. Altre volte aveva visto quel volto e quei capelli: lunghi, castani e mossi. Altre volte aveva visto quei seni piccoli e sodi. Adorava il gusto dei suoi capezzoli. Adorava morderli. Adorava sentire la sua carne sotto la lingua.

Lei aveva labbra esperte. Labbra che sapevano rapirti. Erano sottili e carnose allo stesso tempo. Erano innocenti. Erano la fonte primaria dell’eccitazione che lo conquistava. Le si avvicinò. Dormiva di un sonno profondo. Le diede un bacio delicato. La sfiorò con dolcezza e le sollecitò i sensi con un solo assaggio della lingua.

La svegliò anche se non avrebbe voluto. A lui sarebbe bastato sapere che avrebbe potuto guardarla dormire per sempre. Lei gli sorrise e lo baciò. Era quello l’amore? Lentamente poggiò la mano sul suo petto e cominciò ad accarezzarlo. Lei lo toccava e lui la guardava. L’eccitazione cresceva. Si sollevò e con una mano lo spinse in giù. Si avvicinò con la bocca al suo petto. Cominciò a baciargli i capezzoli. Lui le palpò i seni e poi con la mano scese fino ad accarezzarle il sedere. Era sodo.

L’eccitazione cresceva. La sua mano le accarezzò i glutei con sempre maggiore voglia fino a prenderla con forza e portarsela al di sopra. La voleva. Voleva sentirla gemere. Voleva vederla mordersi le labbra di piacere. Voleva il suo sguardo addosso.

Lei si abbassò lentamente e con la lingua gli sfiorò le labbra. Il suo ventre si strusciò sul suo sesso. Lei lo afferrò e lo strofinò al suo. Poteva sentire la sua eccitazione. Percepiva con forza la voglia di fare l’amore che avevano tutti e due. Era la magia della passione.

Lei lentamente scese lungo tutto il suo corpo e con labbra esperte cominciò a baciarlo alla fonte del piacere. Con la lingua percorse tutta la lunghezza del suo sesso. Più volte e sempre di più. Poi in bocca fino a che non si ingrossò ancora di più. Poi ripercorse di nuovo tutta la lunghezza del suo sesso con la lingua. L’eccitazione crebbe. Con forza la prese e la portò sotto di se e dopo essere entrato dentro cominciò a scavare. Su e giù e poi su e giù. Fino a che la sua bocca non si aprì ancora un po’. Poi ancora su e giù, ma lentamente e senza fretta. Con il bacino le disegnò dentro dei piccoli cerchi. Voleva sentire i suoi gemiti profondi.

Le loro fronti erano sempre più bagnate. Lei gli sussurrò di fermarsi. Non voleva che quel piacere terminasse. Voleva che continuasse ancora per un po’. Lui riprese piano. Entrò e uscì sentendo la punta del suo sesso venire fuori e poi rientrare. Così e ancora un po’. Poi un po’ più forte e sempre di più fino ad interrompersi per creare il piacere finale con l’intensità e la voglia.

Con la mano cercò quel corpo che aveva posseduto pochi istanti prima. Non trovò nulla. Strinse nel pugno le lenzuola. Si rese conto che era stato solamente un sogno. Aveva bisogno di bere. I suoi piedi nudi calpestarono il tappo della bottiglia. Per poco non cadde a terra come un povero ubriaco senza dignità. Afferrò la bottiglia di aranciata che qualche mese prima aveva convertito all’acqua e ne buttò giù un sorso, poi un altro e infine un altro ancora. Si gettò sul divano e si fece sommergere dai ricordi.

Stava leggendo un vecchio romanzo sul tram la prima volta che la vide. Ad ogni fermata distoglieva lo sguardo dalle pagine ingiallite di quel testo comprato tra le bancarelle di un mercatino e guardava fuori. Era sempre in cerca di dettagli. Erano i particolari quelli che gli servivano. In principio lei fu un dettaglio, un particolare: una corsa senza freni verso la fermata; un braccio sollevato a coprire con un giornale la testa dalla pioggia; il balzo sul mezzo pubblico; le guance rosse un po’ a causa del freddo, un po’ per la corsa contro il tempo; quel sospiro di sollievo.

La prima volta che l’aveva vista lei si preparò a scendere dal tram a pochi metri da corso San Maurizio. Il suo viso era spigoloso: il naso era aquilino, gli occhi grandi ma sottili e il mento appuntito. Era alta e magra. Da quel giorno ci furono altre volte in cui la vide. Di notte e di giorno. Ancora adesso che tutto era finito continuava ad incontrarla, anche se solamente nella dimensione dei suoi sogni.

Erano verdi e rossi, oggi sono gialli. Centinaia di chilometri di rotaie percorrono Torino. È la città con la rete tranviaria più estesa d’Italia ed anche la più antica. Duecentoventi chilometri di estensione; quattrocentosettanta chilometri di cavi sotterranei; seicentonovantasei scambi; centosettantacinque semafori; dieci linee, la prima nel 1871; cinquanta fermate. All’inizio i tram erano trainati dai quadrupedi, poi arrivò l’elettricità.

Il conducente stava seduto all’interno di una cabina a forma di esagono spezzato. Con un grosso faro posto in alto e al centro. Il parabrezza sembrava una delle tante finestre che si affacciano sui canali di Amsterdam: era lungo e rettangolare. Da quella posizione l’uomo solo al comando dominava la città lungo quei duecentoventi chilometri divisi per dieci.

A dominare l’interno dei tram d’inizio secolo era il legno: sul pavimento, sui finestrini e perfino i seggiolini erano in legno. Erano elegantissimi e bellissimi. Secondo lui, aveva lunghi baffi neri e arrotondati il primo uomo che era salito su un tram a Torino. Se lo immaginava elegante e aristocratico. E la prima donna la vedeva con una gonna larga e piena di pizzi.

Lei aveva in mano un libro, la prima volta che lui pensò di essersi innamorato. Uno di quei romanzi che si trovano in edicola a basso prezzo. Aveva la copertina gialla, il titolo scritto in rosso ed una fotografia scontornata al centro. Per tutto il tragitto non aveva mai alzato lo sguardo dalle pagine di quel romanzetto. Aveva fantasticato su come sarebbe potuta andare la loro storia se fosse iniziata su un tram nel 1896.

Il tram si sarebbe fermato in Piazza Castello. Il conducente dalle sue finestre aveva notato una vecchietta con il braccio destro alzato e un cesto nella mano sinistra. Qualche passo dietro di lei una ragazza con un cappello ricco di fiori ed un abito lungo e scuro. Faticosamente la vecchietta era salita passando attraverso la porticina anteriore, il conducente si era tolto il cappello in segno di rispetto ed era arrossito dalla vergogna dei suoi pensieri quando aveva visto il viso della giovane ragazza alle spalle dell’anziana signora.

Il tram era affollato. Ogni posto era occupato. In fondo era seduto lui: una bombetta in testa, l’ombrello al braccio destro e la Gazzetta del Popolo sulle gambe. Era assorto nella lettura della prima pagina: fitta di Crispi e priva di Giolitti. “Prego signora, le cedo il posto” – disse alzandosi all’anziana donna quando ancora si trovava in testa al tram. Non riusciva a togliere gli occhi di dosso da quella dolce fanciulla. La vecchietta fece un sorriso grato e con lo stesso braccio che aveva usato per chiamare il tram fece un gesto di lusinga. La ragazza, testa china e passi lenti, la seguiva. “La ringrazio, è stato gentile. Non è semplice ai giorni nostri trovare ragazzi educati come lei ha” – osservò la signora che, porgendo il cesto alla ragazza, continuò dicendo, questa volta rivolta a lei – “Tieni tu. Sei giovane, hai braccia forti ed io ho gambe deboli per reggere quel peso”. Il pugno di entrambi era chiuso sulla cinghia di cuoio che scendeva dal tetto del tram.

Uno di fronte all’altro guardavano fuori. Si incontrarono per la prima volta sul finestrino del tram. Per una frazione di secondo, che poi divenne mille frazioni di secondo unite tutte insieme, i loro sguardi intenti a osservare i loro riflessi impressi tra le trasparenze si incrociarono. Prima scapparono forse per pudore o per paura, distolsero lo sguardo come quando si allontana la mano da una superficie che scotta; poi si cercarono nuovamente per curiosità. Sul vetro bagnato del finestrino di quel tram nacque la loro storia.

Giorno dopo giorno; corsa dopo corsa; fermata dopo fermata; libro dopo libro; battuta dopo battuta; sorriso dopo sorriso; allusione dopo allusione; caffè dopo caffè; desiderio dopo desiderio; litigio dopo litigio; giornale dopo giornale; film dopo film; canzone dopo canzone nacque, crebbe e finì la loro storia d’amore. Quel ragazzo in piedi vicino alla fanciulla con il cappello a fiori che s’era immaginato fosse esistita veramente in un’altra epoca aveva consumato un sogno. Quella ragazza che nella sua vita quotidiana si copriva la testa dalla pioggia con un giornale e che nelle sue fantasie sosteneva il cesto di un’anziana vecchietta aveva potuto amarla, conoscerla e rimpiangerla.

on Twitter @gioeleurso1

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