Crisi delle TV in Piemonte: ecco perché una legge regionale non è la soluzione

Abbiate pazienza, ma io vengo da quel mondo e ogni volta che sento parlare di crisi dell’emittenza radio-televisiva in Piemonte “attisu aricchi” (come direbbe mia nonna) ed elaboro la mia permanente e sempre aggiornata teoria! I sindacati lunedì hanno incontrato tre assessori della Regione Piemonte e hanno presentato le loro proposte per il rilancio del settore; secondo loro tutto dovrebbe partire da una nuova legge regionale! Io non sono più d’accordo e vi spiego il motivo!

Cominciamo dai fatti! La fotografia drammatica della situazione l’hanno tracciata i sindacati stessi (Cgil, Cisl, Uil, Associazione Stampa Subalpina, Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil): «negli ultimi 5 anni hanno chiuso tre importanti televisioni locali Telesubalpina, Telestudio e solo nelle scorse settimane Telegranda. […] Delle 31 radio locali, ben 5 hanno chiuso. Si sono così persi dal 2010 oltre 100 posti di lavoro, che salgono a più del doppio se si considera l’indotto. Questo perché la raccolta pubblicitaria, principale fonte di ricavi per il settore si è ridotta dell’80%, mentre si sono ridotti del 70% i contributi derivanti dalla Legge 488/98. La filiera dell’editoria include tutto il mondo della comunicazione dai quotidiani ai settimanali, fino ai periodici sia locali che nazionali, oltre a tutta la realtà delle case editrici. Il settore negli ultimi 5 anni nel nostro territorio ha perso circa 2500 addetti tra diretti ed indiretti» – hanno scritto in una nota diffusa ieri pomeriggio.

Che la situazione fosse drammatica purtroppo lo sapevamo già! Sempre i sindacati hanno proposto un piano di rilancio da attuare in 11 punti:

  1. Pensare ad nuova legge regionale di sistema per il settore, prevedendo anche una riscrittura dell’attuale normativa, che includa verifiche e monitoraggio sulla distribuzione delle risorse, con particolare attenzione al rispetto delle regole e dei contratti di lavoro applicati
  2. Aiuti alle imprese che investono in innovazione tecnologica
  3. Incentivi alla produzione di programmi di approfondimento regionale indirizzati in particolare ai settori cultura, arte, turismo e sport
  4. Incentivi finalizzati alla creazione di fusioni, aggregazioni e di reti di impresa
  5. Uso dei media locali per la comunicazione istituzionale della Regione
  6. Supporto della Regione per l’attivazione dei Fondi europei, ad esempio a promozione del bilinguismo e dello scambio culturale trans-frontaliero
  7. Attivare fondi per la riqualificazione dei lavoratori fuoriusciti temporaneamente, o definitivamente, dal mercato del lavoro attivo
  8. Prevedere criteri di accesso ai fondi che non escludano i lavoratori che, una volta fuoriusciti, diano vita a particolari forme di auto-impresa quali studi associati, società, cooperative
  9. Attivare un meccanismo di finanziamento agevolato tramite il sistema bancario e/o FinPiemonte per chi investa in innovazione tecnologica
  10. Promuovere per l’intero settore editoriali una politica industriale a carattere regionale volta alla costruzione di distretti/poli di filiera che consentano di mettere in rete tutte le realtà, garantendo la possibilità di realizzare sinergie su logistica/distribuzione, acquisti, investimenti in ricerca e tecnologia
  11. Favorire la collaborazione con le istituzioni culturali e scientifiche presenti sul territorio perché quel che manca in molti casi sono veri e propri progetti editoriali capaci di assicurare un futuro a queste testate

In linea teorica potrei essere d’accordo con tutti e 11 i punti, ma a mio avviso la teoria si scontra con la pratica già al punto 1, per poi naufragare definitivamente dal punto 2 al punto 4! Perché? Semplice: una legge sull’editoria e un sistema di aiuti e incentivi cozza con le reali possibilità economiche dell’ente al quale si chiede sostegno! Si chiedono soldi a chi non li può dare o anche se li desse non ne darebbe una quantità sufficiente a garantire la sopravvivenza del settore.

Mi spiego meglio: se tu prevedi di utilizzare il grimaldello degli incentivi per pressare gli editori a mantenere in vita le televisioni e le radio, questi soldi li devi avere. Altrimenti stiamo parlando di una scialuppa di salvataggio forata.

E poi: i soggetti che hanno presentato alla Regione il piano di rilancio del settore sono i sindacati che rappresentano giornalisti e operatori del settore, ma gli editori dove sono? Nella discussione che si porta avanti dal 2009 circa non sono mai stati coinvolti fattivamente gli editori. Un po’ come se a discutere del rilancio del Milan fossero i tifosi e i calciatori e lo facessero senza coinvolgere Berlusconi, quello che mette i soldi e guadagna dalla baracca.

Per il resto il piano è perfetto: si parla di cultura, turismo, sport; di aggregazione di impresa; di comunicazione istituzionale; di fondi europei; di lavoratori fuoriusciti; di accesso ai fondi da parte di cooperative o società; di politica industriale e distretti produttivi; di progetti editoriali. In qualche modo si guarda anche a come il settore sta cambiando, ma senza rendersi conto che le istituzioni non possono più dare alcuna mano (tradotto soldi) all’emittenza radio-televisiva in Piemonte.

La soluzione? Nuove forme di mercato; conversione del sistema radio-televisivo nell’ottica multimediale; editori illuminati; investimenti in produzioni. In poche parole si deve tornare a fare televisione!

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1 commento su “Crisi delle TV in Piemonte: ecco perché una legge regionale non è la soluzione”

  1. Secondo me la Televisione deve sottrarre spazio ai social. Per farlo, dovrebbe aprire le sue porte alla gente comune e iniziare una rivoluzione importante. I dati statistici dicono che 1 italiano su 3 ha un collegamento Internet ma in tutte le case c’è un televisore. Se tra i giovani l’i-phone è un must, tra gli anziani questa esigenza è scarsamente avvertita. Bisognerebbe sfruttare questo vantaggio e proporre una finestra aperta sulla casa del Sig. Rossi… anziché del politico o dello sponsor.

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